Raccontava Kant che mai si era sentito più libero che alzando gli occhi verso il cielo ed osservando l’immensità del firmamento. Un’esperienza di sublime matematico che ben rappresenta un concetto sfuggente il quale, più che come domanda, si configura come enciclopedia, risultando forse l’unica questione possibile per chi sceglie di entrare in una Comunione, visto che tale condizione è essenziale per esserne accolti.
Che cos’è dunque la libertà? È quella di Gorgia che – con il suo nichilismo – nega ogni possibilità condivisa di conoscere, di comunicare, di comprendere? È quella di Socrate, nell’appartenenza a un daimon profondamente infisso in noi e ferreo nel rispetto dei valori fondanti la civiltà? Quella di Platone, legata alla liberazione dal pesante soma del corpo ed al ritorno nel mondo perfetto delle idee? È quella dell’autore della Critica della Ragion pura, che rifiuta l’istintualità animale, richiamandosi ad una legge intima e razionale? È quella di Fichte, che implica il mettersi sotto esame e proiettarsi con un costante sforzo – Anstoss – verso la perfezione?