Mi affaccio al balcone di casa per osservare le foglie, rinsecchite e ingiallite, scivolare lievemente sopra invisibili tappeti d’aria. S’impone la leggiadra visione dell’autunno avanzato cui s’oppone la prosaica considerazione che sto assistendo ad un ciclico fenomeno naturale che la scienza definisce “apoptosi”.
Si tratta della morte programmata dei singoli elementi vegetali che costituiscono la chioma d’un albero, un “fine vita” indispensabile per la rigenerazione primaverile della maggior parte delle specie arboree.
Si fa sera. Il sole è scivolato al di sotto dell’orizzonte a occidente ed i primi puntini luminosi adornano il cielo imbrunito sfidando l’imperio dell’oscurità profonda. A nord distinguo le costellazioni di Cassiopea e dell’Orsa maggiore.
La mente, inebriata dall’irresistibile fascino del firmamento, mi fa regredire alla remota interpretazione dei popoli antichi, incapaci di comprendere che quelle stelle, facilmente riconoscibili, fossero tra loro vicine solo in virtù di un casuale ed effimero – su scale di tempo notevoli – effetto prospettico.