C’era una volta… l’antico Egitto, una striscia verde, esuberante di vita che si snodava lungo il corso del Nilo. Le sorti del Paese dipendevano dal grande fiume e dalle sue piene periodiche, alimentate dalle abbondanti piogge equatoriali. Quando Sothis appariva in cielo, il letto del Nilo diveniva insufficiente e il fiume straripava lentamente, senza provocare effetti traumatici.
L’acqua invadeva la pianura circostante stagnando in conche e avvallamenti; canali e fossati, opportunamente scavati nel corso dei secoli, la portavano ancor più lontano e contribuivano a distribuirla uniformemente. Poi, altrettanto lentamente l’acqua si ritirava, lasciando un terriccio fangoso, scuro, contenete preziosi fertilizzanti: il limo.
Pertanto si formava una lunga striscia ferace che gli Egizi chiamavano Kemet, terra nera; qui, grazie a semplici strumenti agricoli come l’aratro a graffio, la zappa e il bastone da scavo, era possibile ottenere notevoli raccolti di cereali, legumi, ortaggi, frutta. Inoltre, lungo il fiume, vi era un’esuberante vegetazione spontanea e semi spontanea di palme da datteri, tamarindi, papiri, acacie, l’avifauna era numerosa e le acque erano ricche di pesce, ciò consentiva alla numerosa popolazione di sconfiggere il più terribile dei nemici: la fame. Fu per siffatti motivi che Erodoto (484-430 a.C.), il noto storico greco, dopo aver soggiornato quattro mesi in Egitto, lo definì “dono del Nilo”.