Nessuno, se non qualche antiquario semiologo, oggi si ricorderebbe della Hypnerotomachia Poliphili, singolare favola iniziatica ed erotica, se la sua edizione – licenziata a Venezia nell’officina di Aldo Manuzio il vecchio nel 1499 – non rappresentasse il più bel incunabolo e l’esempio insuperato della più perfetta stampa tipografica mai realizzati.
L’opera pensata entro il raffinato Umanesimo filosofico patavino, scritta in volgare, ma infiorata di frequenti grecismi, latinismi e qualche declinazione vernacolare, e in cui le parti descrittive soverchiano quelle narrative, raggiunge uno stile composito che ricorre a continui riferimenti letterari.
Divisa in due parti, nella prima narra il viaggio allegorico, di impianto aristotelico-scolastico con una traccia di neoplatonismo riguardo la conoscenza naturale della divinità, in cui Polifilo, simbolo dell’uomo iniziato alla conoscenza sensitiva ed intellettiva, è guidato da Volontà e Ragione a realizzare il suo destino in tre stadi che costituiscono le tappe del cammino sapienziale: quello ascetico, quello della gloria mondana ed infine quello amoroso nell’isola di Venere.